Il prezzo del greggio è ancora in calo, benché qualcuno pensava potesse finalmente tornare a a salire. Sembra che la causa principale sia legata agli Stati Uniti e al fatto che il numero totale degli impianti in funzione sia stato stabile, per la prima volta, dall’inizio del 2016, dopo che si erano registrati sempre e soltanto dei cali.
Questo ha avuto i suoi effetti sul prezzo del greggio, con il Brent che arriva a 48,83 dollari al barile e il WTI che invece viaggia attorno a 47,90 dollari al barile.
Il prezzo del dollaro è in calo anche a causa del dollaro forte, il che rende più costoso il greggio per chi ha valuta estera.
Dunque, gli effetti che avevamo visto nei giorni scorsi in merito alla diminuzione della produzione del greggio legata agli incendi in Canada e al fermo della produzione in Nigeria, sono praticamente finiti.
Le previsioni per il valore del greggio non sono certo rosee e questo preoccupa molto, ovviamente, i paesi la cui produzione economica è legata al prezzo dell’oro nero. Addirittura, la banca di investimento Goldman Sachs prevede che entro il 2020 gli States metteranno in fila, uno dietro l’altro, tutta una serie di incrementi produttivi, che spingerà il breakeven dell’olio di scisto a 50 dollari al barile.
In calo le previsioni dei prezzi per il 2017: sempre a causa della produzione che non accenna a diminuire, si pensa ora che il Brent potrebbe arrivare a 55 dollari al barile nel prossimo anno, contro una previsione precedente di 60 dollari, mentre il WTI potrebbe salire fino a 53 $ al barile, mentre in precedenza si valutava una crescita fino a 57 $ .
Nel frattempo la decisione dell’Iran di non tagliare la produzione e l’esportazione, bensì di farla salire a 2,2 milioni di barili entro questa estate, pesa ancora una volta sul prezzo del greggio, che ancora nei prossimi giorni potrebbe scendere.
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